Sull’antico isolotto di Megaride sorge imponente il Castel dell’Ovo. Una delle più fantasiose leggende napoletane farebbe risalire il suo nome all’uovo che Virgilio avrebbe nascosto all’interno di una gabbia nei sotterranei del castello. Il luogo ove era conservato l’uovo fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da “quell’ovo pendevano tutti li facti e la fortuna dil Castel Marino” Da quel momento il destino del castello, unitamente a quello dell’intera città di Napoli, è stato legato a quello dell’uovo. Le cronache riportano che, al tempo della regina Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo dell’arcone che unisce i due scogli sul quale esso è costruito e la regina fu costretta a dichiarare solennemente di aver provveduto a sostituire l’uovo per evitare che in città si diffondesse il panico per timore di nuove e più gravi sciagure. Il Castel dell’Ovo, oggi sede della Direzione Regione per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania, è stata oggetto, nel tempo, di molteplici trasformazioni, le cui tracce sono ancora oggi evidenti. Unito al Castello dalla parte del mare, il Ramaglietto fu costruito sopra l’antico “ciglio del sole”, dove un tempo esistevano dei mulini a vento. Il viceré Francesco Bonavides conte di Santo Stefano, alla fine del Seicento, ne ordinò la costruzione per difendere il castello dalle flotte nemiche. Realizzato a più riprese tra il 1691 e il 1693, il fortino era in grado di contenere sino a sessanta pezzi di artiglieria, grazie alla sua notevole estensione verso il mare. Dal Ramaglietto, attraverso un camminamento che fiancheggia il castello, si giunge all’arco naturale che in passato, aperto sul mare, identificava l’immagine dell’isolotto.L’ arco, crollato durante il regno di Giovanna D’Angiò, fu ricostruito in muratura. La sua ampiezza è oggi leggibile all’interno della Sala Italia. L’unica strada interna attraversa una delle torri ancora visibili, quella di Normandia, costruita per volere di Guglielmo il Malo a difesa del punto più vulnerabile dell’isolotto verso il mare. La torre, su cui venivano issate le bandiere, poggia su archi in piperno e conserva tracce della merlatura guelfa, inglobata in un rialzamento successivo. Superata la torre, si accede ad uno dei due edifici sacri dell’isolotto, la Chiesa del Salvatore, la cui parte rimasta integra oggi ha un accesso laterale. La struttura poggia su alte colonne in granito e capitelli di spoglio, di provenienza romana. All’ interno si conservano resti di affreschi tardo bizantini. Della Chiesa di San Pietro, non resta alcuna traccia visibile, ma la presenza di luoghi di culto riporta alla memoria la destinazione religiosa dell’isolotto. Del complesso monastico abitato da monaci basiliani prima e da suore dell’ordine di Santa Patrizia poi, restano i ‘romitori’, celle scavate nella roccia tufacea. Uniti da un fitto percorso di cunicoli, sono stati riportati alla luce, nella loro interezza, agli inizi del Novecento. Alcune celle sono semplici cavità scavate nel tufo, altre hanno pareti in muratura e soffitto a volta, probabilmente utilizzate come altari. In alcuni ambienti ci sono tracce di affreschi rudimentali, realizzati su un intonaco più accurato, oggi, quasi illeggibili. La cella maggiormente decorata è quella di Santa Patrizia. Tra le più suggestive del Castello, la Sala delle Colonne deve il suo nome alle numerose colonne di spoglio riutilizzate nella struttura, poggiante su archi a sesto acuto. I rocchi, con scanalature a spigolo vivo, sono chiaramente leggibili come parte di colonne di dimensioni maggiori e spiccano nel loro candore marmoreo in contrasto con il giallo del tufo. Divisa in navate, la sala appare come la struttura di una chiesa, ma con molta probabilità era utilizzata per refettorio dei monaci. I materiali di spoglio, variamente riutilizzati nelle differenti strutture del castello, richiamano alla mente la magnifica villa, edificata nel I secolo a.C. dal Console romano Lucio Licinio Lucullo. In prossimità del bastione d’ingresso vi è un ampio locale ricavato nel tufo, che nel corso dei secoli ha assunto il nome di “Carcere della Regina Giovanna”. L’ambiente, oggi noto come Sala delle Prigioni, si compone di un ampio vano centrale, dal quale si irradiano corridoi che conducono alle finestre aperte sui fronti est e ovest del Castello. Per l’ampiezza del locale e per la forma, è ipotizzabile l’origine come fortificazione del castello. Successivamente, sotto la dominazione normanna, la Sala delle Prigioni venne impiegata per la custodia dei tesori e dei documenti, tra cui l’archivio segreto dello Stato. Presso il Castel dell’Ovo vi è anche la sede dell’Istituto Italiano dei Castelli, sezione Campania. La sede viene aperta solo dietro appuntamento. E’ possibile visitare una mostra fotografica permanente sull’architettura fortificata della Campania. Dagli spalti del Castello e dalle sue terrazze si gode una vista incantevole del golfo, che offre al visitatore un panorama unico della città. Il Castel dell’Ovo, oltre ad essere una sede prestigiosa, si candida, per la bellezza dei luoghi e la facile raggiungibilità, ad essere il luogo ideale per ospitare congressi e prestigiose mostre. Presso il Castello possono essere effettuati anche servizi fotografici e filmati per uso strettamente personale legati a cerimonie (matrimoni, comunioni etc). All’interno di Castel dell’Ovo sono ubicate diverse sale e spazi, di varia tipologia, che possono essere utilizzati per convegni, meeting e riunioni di lavoro. Le sale e gli spazi sono spogli in modo da consentire gli allestimenti, secondo le necessità di ciascun utente. L’allestimento, quindi, come del resto l’eventuale catering ad esso collegato, è a cura degli organizzatori che potranno scegliere liberamente tra le ditte specializzate nel settore.